Un secolo dimenticato

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Prima dell’avvento delle tecnologie digitali la nostra memoria è stata affidata alla carta. Grazie alla stampa di Gutemberg, questo umile elemento ha costituito il principale veicolo di diffusione e conservazione della nostra cultura. Il passaggio alle tecnologie digitali sta però mandando in soffitta anche questo caposaldo della nostra evoluzione.

Ma quanto ‘dureranno’ i nostri dati digitali?

L’allarme lo ha lanciato qualche mese fa Vint Cerf, uno degli inventori di internet, nonché vice presidente e Chief Internet Evangelist di Google, ammonendoci sul concreto rischio di diventare «una generazione o anche un secolo dimenticato» a causa di quella che definisce come «bit rot», il marcire dei bit, causato dal degrado dei supporti digitali. «Stiamo buttando senza alcun ritegno» – continua Cerft – «tutti i nostri dati in quello che potrebbe diventare un buco nero dell’infomazione».

Il problema è ben noto a tutti gli addetti ai lavori ed è legato ad una domanda che raramente ci si pone: che durata hanno le memorie a cui affidiamo i nostri preziosi dati? Possiamo memorizzarci i nostri documenti, dimenticarla in un cassetto ed avere la ragionevole certezza di poterli rileggere in un futuro non meglio definito?
Prima dell’avvento del digitale sapevamo che questa garanzia era legata principalmente alla corretta conservazione. Con le nuove tecnologie questo non è più vero: se il corretto stoccaggio è in grado di allungare la vita utile delle nostre memorie, questa è generalmente molto più breve di quanto ci si potrebbe aspettare.

usbdrive

Le memorie flash sono oggi probabilmente il supporto più diffuso, sia per la praticità d’uso che per le dimensioni ridotte e la solidità meccanica. In questa famiglia ricadono le tre principali tipologie di memorie: le pendrive USB, le schedine SD e i dischi a stato solido SSD.
Sulla durata delle memorie flash si legge di tutto e di più. Per fare un po’ di chiarezza, però, basta leggere il documento tecnico di uno dei principali produttori, che afferma: “La durata della memorizzazione sulle memorie flash è dinamica, in quanto il numero di cicli di accesso influenza la sua durata. Informazioni importanti dovrebbero sempre essere copiate su altri supporti per una conservazione di lunga durata“. Tradotto in soldoni: non c’è alcuna garanzia di durata temporale dei dati memorizzati, e quindi sarebbe consigliabile usare questa tipologia di memoria solo come transitoria. La durata della memorizzazione è inoltre strettamente legata alla temperatura a cui sono conservate le memorie: solo cinque gradi centigradi di differenza possono addirittura dimezzarne la durata. E’ un problema che interessa anche i dischi a stato solido SSD, che – per inciso – sono una pessima scelta per lo stoccaggio dei dati.
Risparmiare, poi, non è sempre una buona scelta: la qualità del progetto è infatti un altro elemento importante. Ogni produttore ha messo a punto strategie atte a minimizzare gli effetti dei limiti tecnologici, che impattano sul costo del prodotto finale. Nella scelta della memoria da usare vale quindi sempre la pena leggere le specifiche tecniche per conoscere il numero dei cicli garantito dal costruttore, valutando questo dato allo stesso livello di altri fattori chiave, come capacità, velocità e costo.

dvd

Per i CD ed i DVD la questione è altrettanto complessa. Per alcuni produttori, come TDK, i supporti vergini hanno una vita fra i 5 ed i 10 anni, mentre una volta registrati possono rimanere leggibili per un tempo, strettamente legato alla qualità della conservazione, che può arrivare anche a 3o anni. Temperatura, umidità e la presenza di radiazione ultravioletta sono le cause principali di degrado, che può essere anche significativo. Per le FAQ degli Archivi Nazionali degli Stati Uniti la vita dei supporti ottici è molto più breve, da cinque a dieci anni, e suggeriscono di verificare ogni due anni che i dischi continuino ad essere leggibili.
Nella mia personale esperienza lo spartiacque è a 10 anni: oltre questo tempo i dischi ottici iniziano a mostrare problemi, anche seri, di lettura.

floppy

Per i Floppy Disk il problema non è solo la durata della corretta memorizzazione del supporto magnetico, ma anche quanto tempo ancora saranno disponibili dei dispositivi in grado di leggerli. Le unità floppy, che una volta erano corredo immancabile di qualsiasi PC, sono diventati oggetti abbastanza rari. Lo strato magnetico dovrebbe garantire all’incirca 10 anni di memorizzazione, ma i floppy oltre che alla qualità dello stoccaggio sono molto sensibili anche a problemi di danni da attrito: le testine infatti strisciano direttamente sul supporto e creano usura. La vita utile di un floppy usurato potrebbe essere molto più corta.

I nastri magnetici sono probabilmente la soluzione migliore per una conservazione di lunga durata: le specifiche delle tecnologie più recenti prevedono oltre trent’anni di memorizzazione. Anche i nastri risentono molto sia delle condizioni di stoccaggio, particolarmente del rapporto temperatura/umidità, ma anche dei problemi legati all’usura, visto che come per i floppy il nastro scorre a contatto con le testine.
I nastri presentano poi problemi legati all’evoluzione della tecnologia: gli LTO, ad esempio, sono passati dall’LTO1 da 100GByte del 2000 all’attuale LTO6 da 2.5TByte. L’aumento della capacità è avvenuto, però, sempre a scapito della compatibilità, per cui un attuale unità LTO6 non è in grado di leggere nastri delle generazioni precedenti all’LTO4.
Un altro freno all’uso personale dei nastri è costituito dal costo, sensibile, delle unità e dal fatto che normalmente non siano collegabili via usb, ma richiedano invece interfacce avanzate non comunemente disponibili sui pc consumer.

udb-hd

Gli hard disk esterni sono oggettivamente prodotti comuni, di grande capacità ed economici. Quanto sono adatti a conservare dati per lungo tempo? Se provate a fare una ricerca su internet troverete i pareri più discordanti. C’è però uno studio scientifico su una tipologia di prodotto che utilizza la stessa tecnologia dei comuni hard disk da 2.5″ che dimostrerebbe che una unità, correttamente stoccata, sia potenzialmente in grado di conservare adeguatamente i dati per un periodo superiore ai 30 anni.

Quale è, quindi, la soluzione più sicura per conservare i nostri dati, riducendo il rischio di farli finire nel buco nero digitale di cui parla Cerf?

Non esiste una risposta univoca, e credo che ognuno abbia i dati sufficienti a farsi una propria opinione.

Io ho scelto da tempo di non stoccare più i miei dati off-line, ma di tenerli in linea su un hard-disk aggiuntivo, di adeguata capacità, direttamente installato sul computer. Periodicamente sincronizzo questa copia principale con più copie secondarie, che mantengo su hard-disk usb esterni gestiti a rotazione. E’ una operazione semplice, che può essere facilmente automatizzata con software liberamente disponibile – come Microsoft Synctoy o FreeFileSync. Allo stesso tempo è un metodo, rapido e sufficientemente economico, per ottenere una adeguata ridondanza dei dati, ovvero la duplicazione su più dispositivi fisici. Gli hard disk moderni incorporano un sistema di allarme predittivo degli eventuali errori, ma la ridondanza dei dati garantisce che anche un eventuale guasto improvviso, e catastrofico, di una delle unità non creerebbe grossi danni.

C’è poi un altro elemento da non sottovalutare, il formato degli archivi: non basta solo accedere ai dati, bisogna anche essere in grado di interpretarli! I miei testi scritti negli anni ’80 con il Wordstar, oggi sarebbero difficilmente utilizzabili se non avessi provveduto a convertirli per tempo in un formato più moderno.
Quando prendiamo in considerazione l’obsolescenza delle informazioni digitali dobbiamo tenere in giusto conto anche che l’evoluzione è costante e continua, e porta inevitabilmente al progressivo abbandono di tecnologie man mano che queste diventano obsolete.
E’ un problema che riguarda soprattutto le strutture proprietarie: in un lontano futuro sarà sicuramente molto più semplice leggere una immagine tiff o jpeg che non una foto nel formato raw di un particolare produttore di fotocamere. Nel dubbio, meglio conservare una copia aggiuntiva in un formato aperto.

In sostanza, aggirare l’obsolescenza dei dati – e sfatare la previsione di Vint Cerf – non è una cosa complessa né difficile, richiede solo un minimo di attenzione…. non facciamoci prendere dalla pigrizia!

La foto del titolo è di Ian, quelle dei media di Pixabay e Wikipedia

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L'autore

Consulente Informatico, blogger, problem solver, radioamatore. Ho iniziato la mia attività nel 1977 sviluppando sistemi di calcolo nell'area energie alternative e rinnovabili e da allora mi sono sempre interressato delle frontiere della tecnologia. Nel 1984 sono stato fra i pionieri delle BBS, i primi servizi telematici pubblici, e l'anno successivo ho portato in Italia Fidonet, la prima rete pubblica mondiale, che ho coordinato sino al 1994. Sono attivamente su Internet agli inizi degli anni 90, Nel 1998 sono stato fra i primi a credere nella convergenza digitale, arricchendo internet con materiale multimediale, come audio e video, anni prima del Web 2.0. Continuo da sempre ad occuparmi di informatica e di tecnologia con un occhio attento al futuro che ci attende. Continuo a lavorare come consulente informatico, con una specifica competenza in sicurezza, reti di comunicazione, sistemi operativi e tecnologie di virtualizzazione.

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